regia e drammaturgia Simone Perinelli
consulenza artistica, aiuto regia e organizzazione Isabella Rotolo
con Sussanah Iheme, Ian Gualdani, Alessandro Sesti e Simone Perinelli
direzione tecnica Letizia Paternieri
disegno luci Gianni Staropoli
video Luca Brinchi e Daniele Spanò
progetto sonoro Giovanni Ghezzi
scene e maschere Francesco Givone, Chiara Manetti, Gisella Butera e Matilde Gori
costumi Tommaso Cecchi de Rossi
foto e grafica Manuela Giusto
coproduzione Teatro del Carretto, Teatro della Tosse e Leviedelfool
sostenuto dalla Regione Lazio con il Fondo Unico 2021 per lo spettacolo dal Vivo e dalla Fondazione Carivit di Viterbo
con il sostegno di Centro di residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt),
Aldes/SPAM!, Teatro Biblioteca Quarticciolo - Teatro di Roma, Murmuris - Teatro Cantiere Florida Firenze
Cinque capitoli come cinque movimenti a celebrare altrettanti possibili luoghi dell’anima. A legarli quattro esistenze che ciclicamente muoiono e rinascono in nuovi personaggi, all’infinito, in quella grande animazione che è la vita stessa. Uno spazio liquido, mobile, indefinito. Un fondale come nel set di un cartoon scandisce il tempo e costruisce paesaggi interiori: un cielo, una vecchia carta da parati di una casa diroccata, una giungla. Un messaggio in una segreteria risuona nella casa completamente abbandonata, a parte 4 gatti che ancora abitano lì. Messaggio che suona come un rebus da decifrare:
Moltissimi gatti si sono radunati in una casa diroccata e deserta, dove un uomo li sta osservando di nascosto. Un gatto balza sul muro e grida: “Dite a Dildrum che Doldrum è morto”. L’uomo va a casa e ripete la frase alla moglie, al che il gatto di casa fa un balzo e miagola: “Allora il re dei gatti sono io!” e scompare su per il camino.
Questo è l’inizio del viaggio per cercare di dare voce all’indicibile che ci abita e silenziosamente ci parla specchio del mondo in cui viviamo.
È importante avere un segreto, una premonizione di cose sconosciute. L’uomo deve sentire che vive in un mondo che, per certi aspetti, è misterioso;
che in esso avvengono e si sperimentano cose che restano inesplicabili. Solo allora la vita è completa.
Jung, Ricordi
Anima mia, dove sei? – con questa domanda Jung si interroga, nel suo Libro Rosso, sulla scoperta e l’analisi dell'inconscio. Allo stesso modo intendiamo interrogarci, con un’elaborazione di fantasie personali sugli archetipi in quanto forme primarie di sviluppo della coscienza, manifestazioni simboliche da cui nasce il mito come figura nella quale si incanala e si esprime l'energia dell'anima.
ANIMA! cinque paesaggi è una composizione per quattro performer, quattro anime, o animali, nel loro susseguirsi di vite e reincarnazioni per cercare di dare voce all’indicibile attraverso cinque landscape interiori o paesaggi inconsci, trasformarti in immagini che parlano, specchio del mondo in cui viviamo.
Il viaggio di ANIMA! toccherà di volta in volta temi come la ricerca di se stessi, trasformata sulla scena in una vera e propria battuta di caccia; la perdita di sé, della percezione del tempo e dello spazio, in cui ci interrogheremo su cosa significa sentirci al di fuori del nostro “io”, perderci nel vuoto; l’imitazione come istinto primordiale dell’essere umano, ma non solo, anche di tutte le creature viventi, come caratteristica necessaria all’evoluzione; il tema del doppio, in quanto ombra che incombe nel rapporto identitario di ciascuno di noi; la morte e la rinascita e infine la vita come rappresentazione, il voyeurismo informatico, la frantumazione del sé nella prolificazione dei mezzi tecnologici e delle possibilità di riproduzione, di ri-prodursi, nel senso non più biologico del termine, ma tecnologico, in un sovraccarico di copie più o meno esatte di noi stessi.
DESCRIZIONE DEL PROGETTO
La vita è un viaggio iniziatico che ci conduce alla verità e all’unione, quello che Jung definisce “processo di individuazione”: la meta di questo viaggio è lo sviluppo della personalità individuale. ANIMA! nasce come viaggio interiore esperito attraverso l’immagine, è il percorso dell’anima platonica, la ricerca del sé. Il nostro lavoro non prevede uno spettacolo diviso in capitoli ontologici sul concetto di anima, non un semplice racconto o un’immersione nella psicologia e nella storia, ma un flusso di immagini, un percorso di scoperta che lo spettatore sarà chiamato ad affrontare insieme ai performer. Siamo convinti che il processo di conoscenza individuale sia legato a doppio filo con la creazione artistica, attraverso le sue opere l’artista scopre se stesso ed è dallo svelamento interiore che ogni individuo può dare vita a una qualsiasi forma d’arte. James Hillman nel suo saggio Il codice dell'anima esplora i concetti di carattere, vocazione, destino. Tre semplici parole che assumono un ruolo fondamentale, sia nello sviluppo e nella realizzazione individuale di ciascuno di noi quanto nella nascita dell’opera d’arte. La nozione di anima che Hillman reintroduce nella cultura psicologica occidentale, traendola fuori dal linguaggio poetico e religioso nel quale era stata confinata dopo il neoplatonismo rinascimentale, è fortemente connessa al mito, in cui essa trova il proprio luogo di manifestazione ininterrotto. Oggi però viviamo in un’epoca in cui il mito è morto, o forse si è semplicemente reincarnato, ha trovato un’altra forma. Ripiegati su se stessi, adattati ai nuovi linguaggi della contemporaneità, gli archetipi si sono evoluti dando avvio alla nascita di nuovi miti. Lo stesso concetto di anima è mutato, così come l’identità dell’opera d’arte.
Questo progetto, partendo dalle riflessioni del sociologo Erving Goffman, intende utilizzare il teatro come metafora utile a indagare l’importanza dell’azione umana all’interno della società. Vorremmo scoprire attraverso quali meccanismi il concetto di arte si sia ridotto a mero esibizionismo con il proliferare delle possibilità e dei dispositivi utili alla produzione. Al giorno d’oggi chiunque può impugnare uno smartphone e mostrare la sua anima al mondo intero. O forse soltanto l’idea di un’idea dell’anima, l’ombra nella caverna di Platone. Ne La vita quotidiana come rappresentazione Goffman racconta la società parlando di attori e di pubblico, di routine e di parti, di rappresentazioni, di imbeccate, di ambientazione scenica e di retroscena, di esigenze, capacità e strategie drammaturgiche. Attraverso la metafora del teatro la sociologia spiega la realtà del mondo, il nostro tentativo sarà invece quello di attuare un processo inverso: attraverso l’analisi della nostra società, raccontare il teatro che ci meritiamo.
NOTE DI REGIA
"Anima! cinque paesaggi" è un testo composto da cinque movimenti, cinque capitoli legati da un filo rosso con l’intento di esplorare i paesaggi che l’Anima disegna dentro ogni essere vivo e venuto al mondo, immaginando una voce per l’indicibile che udiamo dentro mentre affrontiamo i grandi temi che ci accompagnano nel corso della vita.
Immagine e visione assumono un ruolo preponderante indirizzandoci verso una ricerca che verta liberamente su linguaggi visivo/sonori in grado di sviluppare ciascun paesaggio fino alla sua epifania. Ogni paesaggio un colore, un animale, un luogo geografico, una suggestione interna, un momento di vita che abbiamo trascorso o che prima o poi attraverseremo.
Lo spettacolo diventa così un percorso da svolgere in simbiosi con lo spettatore, accompagnato nei luoghi più intimi e profondi, grazie alla contaminazione di linguaggi diversi: teatro, danza e video arte.
Quattro performer, tre attori e una danzatrice, uno spazio vuoto solo a prima vista, ma che all’occorrenza sia scatola magica e specchio in cui il pubblico veda riflessi i paesaggi che ospita in sé durante quei momenti di distrazione profonda, quando la mente smette di produrre pensieri a raffica, e rimaniamo assorti sospesi dentro immagini che non sappiamo raccontare.
Simone Perinelli
ISPIRAZIONE
27 marzo 2020, cupi nuvole coprono il cielo di Roma e scaricano pioggia. A pochi passi dal cancello centrale della basilica di San Pietro, tenuto completamente aperto, Papa Francesco è in piedi in silenzio davanti alla piazza deserta. Dietro di lui l’immagine della Salus Populi Romani e il Crocifisso di San Marcello, più sotto dei candelabri illuminano il sagrato silente. Il Papa prega in una piazza vuota: «Fitte tenebre si sono addensate, scenda la benedizione di Dio». Da questa immagine nasce una domanda: cosa riempie quella piazza? Se un uomo sta parlando al vuoto, si può davvero definirlo vuoto? E se quella piazza non fosse stata davvero vuota, cos’è che la riempiva? Quale presenza invisibile?
È dal vuoto che nasce ANIMA!, da un vuoto che non è vuoto, e che rimanda al concetto filosofico e artistico giapponese di ma, un vuoto inteso come una stanza immaginaria che si trova in una posizione indefinita tra il cielo e la terra, non è né in un luogo né nell'altro, è in uno spazio indescrivibile. L’anima è questo spazio indescrivibile che si trova dentro di noi, è l’espressione del nostro essere e al tempo stesso tutte le sue potenzialità, come Hillman sostiene nella sua “teoria della ghianda”, secondo la quale ciascun individuo viene al mondo con un’immagine innata che lo definisce, una forma unica e irripetibile – il dàimon – che chiede di essere realizzata per portare felicità ed equilibrio nella propria vita. Quest’immagine è quella particolarità che dentro di noi chiamiamo “me” ed è determinata dalle caratteristiche individuali, dai talenti, dalle inclinazioni e dalle attitudini di ciascuno di noi. Secondo Hillman, proprio come la ghianda prima o poi diventerà una quercia con caratteristiche proprie, poiché ne racchiude fin dal principio tutto il potenziale, così l’individuo è destinato a realizzare la sua unica e vera natura, il suo dàimon appunto, che nella cultura religiosa e nella filosofia greca è descritto come un essere che si pone a metà strada fra ciò che è divino e ciò che è umano, con la funzione di intermediario tra queste due dimensioni. Diventare una quercia significa allora compiere in questa vita esattamente ciò per cui si è nati, in base alle caratteristiche e alle peculiarità personali. Il modo per farlo è riscoprire i propri talenti e nutrirli con l’applicazione e la pratica, affinché si possano realizzare, portando a compimento il senso della propria esistenza. Abbiamo così deciso di cominciare la nostra ricerca parlando dell’invisibile. Ma come si può parlare di ciò che non si vede? Ci siamo chiesti se e in che misura siamo contornati da un mondo invisibile che comunica – o non vuole comunicare – con noi. E ci siamo anche chiesti come e in che misura si riflette dentro di noi questo mondo. Da lì nasce il landscape, l’idea di paesaggio.
foto di Elisa Nocentini della prima residenza creativa presso il CENTRO DI RESIDENZA DELLA TOSCANA - CapoTrave/KILOWATT e ARMUNIA
SUL CONCETTO DI PAESAGGIO
La scelta di lavorare sul concetto di paesaggio è nata dalla convinzione che l’inconscio si esprima per immagini. Lo stesso Jung raccoglie nel Libro Rosso il frutto della sua immaginazione, dove rappresenta mondi che appartengono a un’altra dimensione, quella interiore; così come William Blake accompagna le sue poesie con le illustrazioni vividissime della sua mente, perché considera l’immaginazione non come uno stato mentale ma come l’essenza stessa dell’essere umano. Per Blake l’immagine ha il potere di scaturire da vere e proprie visioni, tanto da arrivare a dichiarare che le sue opere artistiche e poetiche gli siano state suggerite addirittura dagli angeli – e cos’è l’angelo custode se non un’entità simile al dàimon greco?
Ricalcando il Mito di Er raccontato da Platone, e ripercorrendo il viaggio della metempsicosi, ANIMA! si suddivide in cinque movimenti, ciascuno dei quali sarà modulato a partire da uno stimolo, una sensazione, un tema principale che si svilupperà attraverso il lavoro dei performer in una partitura verbale e coreografica.
Il paesaggio, per come lo intendiamo noi, vive in bilico tra l’opera d’arte e non, è significato e significante al tempo stesso, costituito da dettagli che, nel bene o nel male, condizionano le nostre emozioni. Nasce dalla composizione apparentemente casuale di vari elementi, proprio come la scrittura creativa facilita il flusso consecutivo ma casuale dei pensieri. Così l’alta componente di casualità prende poco alla volta forma, colore, luce e si tramuta nel luogo dell’anima sulla scena. Persino il vuoto può diventare un paesaggio, perché il vuoto racconta, è colmo di potenzialità, come una sala addobbata prima di una festa, quando ancora qualcosa deve accadere e tutto è possibile.
Il paesaggio è in stretta relazione con l’osservatore, e a questo si lega con le aspettative e le potenzialità che gli sono proprie: il paesaggio è la ghianda di Hillman. Ma c’è un momento in cui ogni paesaggio raggiunge il suo culmine e si esaurisce, quello è il momento in cui non lo si guarda più, in cui l’occhio si distoglie, perché la sua intensità di significante ha raggiunto il massimo e l’epifania visiva è diventata un’epifania di senso. ANIMA! si colloca esattamente in quel momento, quando il performer in scena smette di essere carne e si fa lui stesso paesaggio, così che lo spettatore possa guardare oltre l’attore e anziché cercare di estrarre a forza l’immagine da ciò che vede si guarderà dentro e tenterà di trattenere queste immagini per vedere dove lo conducono e come si trasformano in lui. I paesaggi interiori si faranno visione e immagine teatrale, ogni landscape sarà caratterizzato dalla dominanza di uno specifico colore, da un animale guida che ne incarna il dàimon e da una suggestione interna, un momento di vita che abbiamo trascorso o che prima o poi inevitabilmente tutti attraverseremo.
Nell’allestimento scenografico il concetto di paesaggio sarà restituito attraverso un impianto visivo di forte impatto e di forte carattere simbolico ed evocativo. Oggetti, costumi, videproiezioni e maschere permettano di far risaltare le atmosfere dei diversi paesaggi cercando di declinare le tre direttive principali del progetto: il rapporto tra mondo animale e anima, il linguaggio del cartoon e il mondo dell’infanzia, il ciclo di vita-morte-reincarnazione.
L’utilizzo di un fondale retroilluminato e di un videoproiettore ci permetterà di modificare lo spazio attraverso le creazioni di Luca Brinchi e Daniele Spanò. Le immagini da loro create ci consentiranno di metamorfosare lo spazio in un dialogo continuo con la drammaturgia della luce creata da Gianni Staropoli, le atmosfere sonore di Giovanni Ghezzi e le scene di Fabio Giommarelli permettendoci così di creare dei veri e propri landscape interiori: una casa diroccata abitata da gatti, una riserva in nord America, una giungla, il tramonto del sole su Marte. Il palco, da spazio neutro e limite fisico, si trasformerà in questo modo in paesaggio onirico, in una finestra sul mondo che permetta di ampliare il territorio o in uno spazio evocativo dell’immaginazione, dove tutto può succedere e dove prendono vita le proiezioni della nostra psiche.
SUL CONCETTO DI ANIMA/ANIMALE
Parlando di anima è stato impossibile non ritrovarci a parlare e a contemplare il mondo animale, detentore forse oggi del maggior potere evocativo della sfera spirituale. L’animale, da sempre assunto a segno di un rapporto ancestrale e iconografico con l’anima, è al tempo stesso icona della contrapposizione tra spirito e istinto. Ci siamo trovati così a lavorare su una doppia vettorialità tra l’anima e l’animale: l’animale che è in noi e lo spirito racchiuso nell’animale.
Tutti noi cerchiamo cibo, acqua, sicurezza e un compagno o una compagna. E cerchiamo uno status, in modo da poter avere un accesso preferenziale a quelle risorse. Se un leone potesse parlare, probabilmente ci annoierebbe con le solite cose terra terra: la pozza d’acqua, le zebre, i facoceri, gli gnu… fino alla nausea. Sesso. Cuccioli, Altro sesso. L’ansia causata da quei due nuovi fratelli minacciosi con le loro fantastiche, foltissime criniere. Che c’è di tanto difficile da capire? Le loro preoccupazioni - cibo, compagni, figli, sicurezza - sono le nostre. Dopo tutto noi siamo diventati umani insieme ai leoni, sulle stesse pianure, entrambi a inseguire le stesse prede e a sottrarci a vicenda le loro carcasse. Abbiamo moltissimo in comune. Non è colpa dei leoni se poi alcuni esseri umani sono diventati filosofi. […]
[…]Una volta un ricercatore riprodusse la voce registrata di un’elefantessa morta, trasmettendola da un altoparlante nascosto nel fitto della vegetazione. I familiari della deceduta, come impazziti, la chiamarono e la cercarono dappertutto. La figlia continuò a chiamarla per giorni. Quei ricercatori non fecero mai più una cosa simile.
[…] Teresia, l’elefantessa, visse fino a circa sessantadue anni. Da quando era nata, pressappoco nel 1922, il mondo era cambiato e nel corso della sua vita era andato riempendosi di esseri umani e di nuove macchine. Teresia attraversò, peraltro ignara, la grande depressione, la seconda guerra mondiale, i campi di sterminio nazisti e Hiroshima; né ebbe consapevolezza alcuna degli orrori avvenuti in Birmania, Corea, Cambogia e Vietnam; delle incomprensibili missioni Apollo, verso quella stessa luna alla cui luce lei marciava la notte; dell’era dello swing, del jazz o del rock and roll. Il movimento per i diritti civili le era passato accanto senza che se ne avvedesse, come pure quelli delle donne e degli ambientalisti, con la loro Primavera silenziosa, Aveva trascorso il periodo della Guerra Fredda nel tepore della luce dei tropiche non s’era proprio accorta delle lotte di Nelson Mandela per liberare gli esseri umani di un paese che aveva sterminato quasi tutti quegli elefanti. Nella cronologia della storia mondiale, la vita di Teresia si sovrapponeva a tutti quelli eventi. Lei si muoveva peraltro seguendo un ritmo più antico e uniforme.
Carl Safina - Al di là delle parole
Di grande importanza per rendere il lavoro sugli animali sarà l’utilizzo di maschere e teste di animali appositamente commissionate per il progetto e realizzate da Francesco Givone in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Firenze, che rappresentino le fattezze degli animali declinate nell’estatica degli origami. Gli animali accompagneranno il viaggio attraverso i diversi paesaggi come spiriti dominanti dell’atmosfera che si creerà in ogni quadro. Questa scelta permetterà ai performer di lavorare fisicamente sulla scena, di viverla attraverso un lavoro sul corpo mirato alla biomeccanica dell’animale, di studiare la prossemica e la cinesica dell’essere corpo circondato da altri corpi in uno spazio (apparentemente) vuoto.