LE BACCANTI
Un
grido di richiamo: Al monte, al monte…
Via
dalle case, via dalle case.
Infinite
per infinite uomini sono le speranze,
alcune
finiscono nella felicità, altre dileguano.
Beato
chi trova la sua felicità giorno per giorno.
L’apparizione
del dio abbatte ogni ideologia. Fa traballare momentaneamente le nostre certezze acquisite, le nostre consuete categorie di interpretazione del mondo. Crea un paradosso, provoca inquietudine, e
improvvisamente ciò che sentiamo come più familiare, conosciuto dentro noi, diventa allo stesso tempo ignoto. Il dio capovolge con violenza la realtà, si muove sempre sul confine della rottura di
senso e, così facendo, apre la strada all’inaspettato. Questa è la fine di questo dramma.
NO TIME NO SPACE
[Il supercomputer spiega a Winton...]
“La dimensione non è che un attributo di un universo, valido soltanto in quel particolare universo. Da qualunque altro punto di vista un universo (esso stesso una infinità di spazio), non è che un punto senza dimensioni. C’è un’infinità di punti sulla capocchia di uno spillo quanti in un universo infinito oppure in un’infinità di universi infiniti. E l’infinito elevato a una potenzia infinita è ancora soltanto infinito. Capisci?” “Quasi.”
“Abbiamo quindi un numero infinito di universi consistenti. In questo numero sono compresi questo universo e quello da cui tu provieni, essi sono ugualmente reali egualmente veri. Ma tu, Keith Winton, riesci a concepire che cosa voglia dire un’infinità di universi?
“Bene… sì e no.”
“Significa che tutti gli universi concepibili esistono. C’è per esempio un universo in cui ora si svolge questa stessa scena, con la sola eccezione che tu, o il tuo equivalente, porti scarpe marroni invece di scarpe nere. C’è un numero infinito di permutazioni dei caratteri variabili, per cui in un altro caso avrai una graffiatura in un dito, e in un altro corna purpuree, e in un altro…”
da Assurdo Universo di Fredric Brown
APOCALISSE
I Buffoni e la fine del Mondo
“Allora si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza. Ne seguirono folgori, voci, scoppi di tuono, terremoto e una tempesta di grandine”.
Percorso formativo e spettacolare sul tema dell’Apocalisse biblica sviluppato sulle linee guida dell’universo dei buffoni: coloro che non solo si burlano del prossimo, ma soprattutto delle sue credenze più profonde.
Da sempre il fool lungi dall’essere realmente folle, può prendere la parola e dire cose inaudite deridendo persino l’ “inderisibile”. I buffoni non invocano il cielo, ci sputano sopra; sono da sempre dalla parte del diavolo, al nadir. Non provengono da nessun luogo ma arrivano dall’altrove, dalla notte, dal mistero e riscaldano lo spazio. Sono degli indovini, conoscono il futuro. Quando affrontano una situazione la deformano, la torcono, ma conoscono il mistero di ciò che esiste prima della vita e quello di ciò che avverrà dopo la morte. Sono dei profeti. Conoscono la fine del mondo e possono annunciarla.
LA SEDIA VUOTA
"Sono tornato a casa e ho visto la sedia di Paul accanto al tavolo, dov'erano rimasti, ancora dal giorno prima, i suoi libri e i suoi quaderni...
Ho cercato di dipingere il suo posto vuoto”
Un laboratorio di tre giorni per affrontare attraverso la drammaturgia e la pratica attoriale il tema dell'assenza. Partiremo dal famoso dipinto di Vincent Van Gogh. Cercheremo di lavorare su ciò che ci parla dell'assenza rendendola presenza attraverso un percorso che dia seguito alla ricerca di un metodo infallibile per portare il "Teatro" all'interno del "Quadro" e viceversa.
"Sedie vuote - ce ne sono sempre di nuove, altre se ne aggiungeranno e prima o poi non resteranno che... Empty chairs" (lettera 252)
“…E’ così che la luce della candela suona. Suona, come il respiro di un corpo amante davanti al corpo di un malato addormentato. Suona come una strana critica, un profondo giudizio di cui Van Gogh sembra possa permetterci di presumere la sentenza più tardi, molto più tardi… Nel giorno in cui la luce viola della poltrona di paglia avrà sommerso interamente il quadro. “ A.Artaud
ISTERIA SIBERIANA
Hai mai sentito parlare di una malattia chiamata isteria siberiana?
Si tratta di una malattia che colpisce i contadini che vivono in Siberia.
Prova a immaginare di essere un contadino che vive da solo nella landa siberiana. Lavori ogni giorno nei campi e non vedi assolutamente nulla attorno a te.
A Nord l'orizzonte, a Est, a Sud e a Ovest, ancora l'orizzonte. Non c'è altro.Ogni giorno quando a est sorge il sole, esci per lavorare nei campi e quando il sole è alto nel cielo, ti fermi a riposare e a pranzare.
Quando tramonta, a Ovest, torni a casa e ti
addormenti.
Una vita che si ripete ogni giorno allo stesso modo per anni e anni.
Poi un giorno qualcosa dentro di te muore.
Giorno dopo giorno vedi il sole sorgere a Est, attraversare la volta celeste e tramontare a Ovest e alla fine dentro di te qualcosa si spezza e muore.
Lasci a terra la zappa e cominci a camminare con la mente svuotata da ogni pensiero, verso Ovest, a Ovest del sole.Continui a camminare per giorni, senza mangiare né bere, come un invasato.
E un giorno t'accasci al suolo e muori. E' questa l'isteria siberiana. Ma cosa ci sarà mai a Ovest del sole? Chissà... Potrebbe non esserci nulla, come potrebbe esserci qualcosa. Di sicuro però, è un LUOGO DIVERSO da quello a Sud del confine.
IL DISCORSO DI YORICK
“…Dove sono ora i tuoi lazzi, le tue capriole, le tue canzoni, i tuoi lampi di allegria, che facevano scoppiare dalle risa l’intera tavolata ? ”
(Amleto, parlando di Yorick con le ossa del suo cranio tra le mani).
Prima o poi ci spegneremo. Nonostante i 170 milioni di parole che spenderemo durante una vita media di ottanta anni (5740 parole al giorno), prima o poi saremo la lucina rossa dello stand by dei nostri elettrodomestici: fissa, muta, inalterabile.
Nel frattempo possiamo usare le parole per creare ideologie, inventare ninne nanne, descrivere moschee, per spiegare i buchi neri, per bucare le montagne e poterle chiamare gallerie.
Milioni di parole per inventare religioni, per dichiarare guerre, per dare nomi alle stelle, per spiegare perché quando siamo al telefono gesticoliamo pur sapendo che l’altro non può vederci.
Parole. Parole. Parole per ciascun utilizzo, persino per spiegare la nona di Beethoven.
E chissà se alla fine di tutto, le parole più importanti che avremo speso in vita non saranno state quelle più stupide, semplici, effimere; quelle all’apparenza talmente superficiali da aver reso indimenticabili quelle serate che sono come tregue durante una guerra.
Le parole senza importanza di un matto, di un Fool: un corruttore di parole. Le parole di Yorick.
Yorick ha parlato ed è un peccato che non conosceremo mai i suoi discorsi.
Dobbiamo immaginarli e trattandosi di Fool non potrà che essere immaginazione nell’immaginazione perché Yorick non esiste: è tutti e nessuno, una proiezione collettiva e uno strumento di autocomprensione.
E chissà tra le risa di quella tavolata quali verità venivano pronunciate, quali annunci di possibili futuri venivano proferiti, quali tragedie venivano predette tra le urla di gioia di certe serate.
L' ATTORE NELLO SPAZIO (IPER GALATTICO)
Per esempio ora vorrei essere sulla Luna.
Così mi sono ricordato di quell’opuscolo con la copertina gialla trovato per sbaglio nella cassetta della posta sei mesi fa: una strada statale che approda su una luna in rilievo dove c’è un uomo che urla e tre mulini a vento; che non girano. Perché sulla Luna non c’è mai stato il vento.
Così mi sono sforzato di pensare un punto talmente distante da tutto, che mi tenesse sospeso da terra, tanto da trovare l’Ispirazione, da poter sentire quelle urla.
Un punto così lontano da intuire che se il Big Bang ha dato inizio a tutto, allora anche il Teatro è iniziato quel giorno e ogni notte si ripete, nel cielo come nella testa dell'Attore.
Un punto così lontano, da percepire la paura del vuoto fino al punto di volerlo riempire ad ogni costo; con il corpo, con le idee, con il cuore. Proprio come avviene sulla Scena.
Perché come dice Amleto, "Potrei essere rinchiuso in un guscio di noce e sentirmi Re dello spazio infinito"